Dopo aver spiegato nel precedente articolo (Spaziodi Magazine n°9 del 11.05.06) i diversi tipi di approcci che un consulente tecnico può trovare nell’industria e aver fatto un rapido escursus su quali tipi di consulenti tecnici si offrono all’industria, avevo promesso di parlavi dei rapporti che intercorrono tra i consulenti stessi e le varie interfacce dell’industria, a partire dai proprietari o dai dirigenti a cui fanno capo fino ad arrivare ai tecnici con cui lavorano fianco a fianco. Torno a voi per mantenere la promessa.
Con i responsabili dell’industria, che siano i proprietari o i dirigenti del settore direttamente interessato alla consulenza, i rapporti possono essere molteplici e assai differenti tra di loro.
Se si tratta di industrie medio piccole, molte volte il proprietario o il maggior azionista sono quelli che hanno contattato direttamente il consulente e quindi lo seguono in maniera abbastanza diretta.
Possono instaurarsi due tipi di rapporti assolutamente diversi, che possono dipendere sia dai responsabili aziendali come dal consulente.
Quest’ultimo dovrebbe – ma spesso non è così – avvicinarsi ai problemi aziendali con la minor prosopopea possibile perché se lo facesse sarebbe considerato, dai responsabili, ma soprattutto dalle interfacce tecniche aziendali, uno da controllare a vista e da “pescare” al primo errore.
La tecnica giusta è quel del consigliere che apprezza il lavoro fatto sino a quel momento e si limita a suggerire delle modifiche, forte delle proprie esperienze passate. Non conta, infatti, quello che lui dice di saper fare ma conta solo quello che realmente dimostrerà di saper fare: i tecnici con cui avrà rapporti di lavoro saranno li tutti i giorni a fargli pesare dichiarazioni pompose che i fatti dimostreranno se non proprio “millantato credito” almeno parzialmente false o, nel caso migliore, imprecise o non totalmente proprie per la soluzione del problema specifico. Qualora una di queste eventualità diventasse realtà la considerazione sulle capacità del consulente sarebbe assolutamente negativa e da quel momento comincerebbero i problemi. I “cioccolatai” di cui parlavo nel precedente articolo sono proprio consulenti sui generis che appartengono a questa categoria e possono in certi casi arrivare davvero ad essere tacciati di millantato credito. E, ahimé, ce ne sono in giro diversi!
Il consulente deve essere deciso a proporre modifiche, cambiamenti di formulazioni o di sistemi di produzione solo quando è realmente sicuro di sé e deve motivarle in maniera chiara coinvolgendo al massimo gli operativi dell’azienda in modo da renderli compartecipi al nuovo progetto: in un parola non deve far piovere nulla dall’alto.
Nei casi in cui i margini di dubbio siano di un certo spessore allora deve presentare la cosa come un tentativo, che ha funzionato in casi precedenti ma potrebbe non funzionare in quel caso, meglio ancora se anticipa le motivazioni del possibile insuccesso.
Ideale sarebbe stabilire rapporti di amicizia o di colleganza con quelli che collaborano con lui all’interno dell’azienda. Un ideale che dipende però da vari fattori umani: carattere del consulente, differenze d’età, carattere degli interlocutori, durata della consulenza e intensità di partecipazione in termini di giorni di lavoro in comune.
Personalmente ho avuto la fortuna di stilare contratti quasi sempre di largo respiro e di durata ampia. Con certe ditte ho collaborato per quindici anni, con una ditta brasiliana collaboro da ben ventidue anni e sono talmente integrato che ho biglietti da visita della stessa in cui è scritto “responsabile ricerca e sviluppo polimeri”.
Ma anche nei casi di contratti a più breve termine ho sempre stabilito rapporti di amicizia con i miei collaboratori tant’è che tali rapporti permangono per molti anni, anche dopo il termine del contratto. Per me, estroverso di natura (a volta anche troppo) la cosa è facile e poi non faccio mai pesare le mie conoscenze ma cerco di renderne compartecipi tutti e, soprattutto, non lesino mai informazioni e spiegazioni supplementari, quando richiesto o quando capisco siano necessarie.
Ciò nonostante non nego che in molti casi ho avuto problemi di invidie ingiustificate di vario tipo.
Chi si trova in un posto di responsabilità senza avere le necessarie capacità tecniche ma ha raggiunto quel posto grazie a amicizie “padronali” è la persona che si deve temere di più. Le sue reazioni di fronte ai consulenti sono varie.
Di invidia per il fatto che lui è lì a farsi il mazzo per dirigere il reparto e un consulente in poche ore risolve problemi che lui non avrebbe potuto mai risolvere per “specifica” incompetenza: inoltre guadagna in quel tempo quanto lui guadagna in mesi di lavoro giornaliero.
Di furbizia – e sono casi che ho vissuto in prima persona – quando dicono che alcune delle soluzioni che tu proponi non sono praticabili e poi, appena tu termini il tuo periodo di consulenza, le provano in gran segreto e, se funzionano, le vendono come proprie al padrone o al dirigente responsabile al quale fanno capo.
Di timore: quando vedono che tu realmente ne sai un pacco più di loro e temono che potresti prendere il loro posto. Quante volte, accorgendomi che l’ostracismo nei miei confronti era dovuto a tali timori, ho più volte spiegato loro che io non avevo nessuna intenzione di farmi assumere perché amavo la mia professione di consulente. In alcuni casi sono riuscito a convincerli e siamo diventati amici. Addirittura con uno di costoro che più mi temeva, ho fatto anche di più. Quando mi fu offerto un posto pari grado per lo sviluppo e la ricerca in quella ditta l’ho rifiutato e, visto che i responsabili, non erano intenzionati a rinnovare la consulenza per costringermi ad accettare l’assunzione, ho disdetto il contratto e me ne sono andato: ho una sola parola e ne sono fiero!
Con quelli con cui tu lavori per risolvere il problema, i compiti sono un po’ più facili e tutto dipende da come tu ti poni nei loro confronti.
Posso citare il caso di un consulente, tecnicamente valido, ma un testone pazzesco, che trattava tutti a pesci in faccia e, soprattutto in caso di fallimenti, dava sempre la colpa ai dipendenti. Il titolare, visto che mancava un anno alla scadenza del contratto e che per colpa di questo consulente attaccabrighe aveva già ricevuto domande di dimissione da più d’uno dei suoi tecnici con la formula “o io o lui”, lo ha parcheggiato in un'altra ditta del gruppo, chiuso in una stanza a progettare cose inutili .... pur di toglierselo dai piedi.
E pensare che io stesso gli avevo fatto notare il suo atteggiamento “negativo” e lui – ciò dimostra il pessimo carattere e l’assoluta incapacità di autocritica – sapete cosa mi aveva risposto: “Ma tu Filippini lavori da anni qui e ti conoscono tutti, io invece mi devo far accettare....!”, In una parola significava che lui doveva far vedere che era utile e capace, ma non aveva assolutamente capito che incolpando tutti di colpe non loro ma essenzialmente sue, non sarebbe mai stato accettato.
Era sì un bravo tecnico ma anche un “bravo” di spagnolesca e manzoniana memoria.
Il mondo è bello perché è vario!!!
E, per concludere, posso dire che proprio vario è anche il mestiere di consulente, che se fatto con competenza, passione e il necessario savoir-faire ti dà grandi soddisfazioni, non arrivi mai alla noia e hai a che fare con mondi variegati e diversamente colorati che ti aiutano a crescere psicologicamente e dal lato umano.
Insomma, un lavoro faticoso, ma che sicuramente non cambierei più con un lavoro di dirigente anche ben pagato ma con troppe responsabilità manageriali che non mi piacciono e mi tolgono dal lavoro tecnico che è la mia vera vita.
Una scelta di vita anche coraggiosa ma ... “la fortuna aiuta gli audaci” o, se volte citare “Il milionario” di Gerry Scotti; “only the braves”.
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